Storia della filosofia/Voltaire

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Indice del libro

Il nome di Voltaire è legato al movimento culturale dell'illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali insieme a Montesquieu, Locke, Rousseau, Diderot, d'Alembert, du Châtelet, tutti gravitanti attorno all'ambiente dell’Encyclopédie.[1] La vasta produzione letteraria di Voltaire si caratterizza per l'ironia, la chiarezza dello stile, la vivacità dei toni e la polemica contro le ingiustizie e le superstizioni.[2][3] Deista,[4] cioè seguace della religione naturale che vede la divinità come estranea al mondo e alla storia, ma scettico, fortemente anticlericale e laico, Voltaire è considerato uno dei principali ispiratori del pensiero razionalista e non religioso moderno.[5][6]

Voltaire e il Regno Unito[modifica]

Jean-Antoine Houdon, Voltaire, ritratto in un busto poco prima della morte nel 1778 e parte di una serie di busti realizzati da Houdon

Tra le esperienze più significative del Voltaire intellettuale sono certamente da annoverare i viaggi, quello nei Paesi Bassi e soprattutto quello nel Regno Unito; qui il giovane parigino vide praticare attivamente la tolleranza religiosa e la libertà di espressione di idee politiche, filosofiche e scientifiche. Al suo spirito insofferente di ogni repressione assolutistica e clericale (anche perché reduce dall'esperienza nelle rigide scuole dei gesuiti) il Regno Unito appare come il simbolo di una forma di vita illuminata e libera.[7]

Immerso nello studio della cultura anglosassone, Voltaire rimane accecato dalle luminose e rivoluzionarie dottrine scientifiche di Newton e dal deismo e l'empirismo di John Locke. Egli trae, da questo incontro con la filosofia del Regno Unito, il concetto di una scienza concepita su base sperimentale intesa come determinazione delle leggi dei fenomeni e il concetto di una filosofia intesa come analisi e critica dell'esperienza umana nei vari campi.[7] Nacquero così le Lettres sur les anglais o Lettres philosophiques (1734) che contribuirono ad allargare l'orizzonte razionale europeo ma che gli attirarono addosso i fulmini delle persecuzioni.[7]

Le Lettres vengono condannate, per quanto riguarda i princìpi religiosi, da coloro che sostenevano la necessità politica dell'unità di culto; dal punto di vista politico, esse, esaltando l'onorabilità del commercio e la libertà, si opponevano spudoratamente al tradizionalistico regime francese, e dal lato filosofico, in nome dell'empirismo, tentavano di svincolare la ricerca scientifica dall'antica subordinazione alla verità religiosa.[7] Il programma filosofico di Voltaire si delineerà in maniera più precisa successivamente con il Traité de métaphisique (1734), la Métaphisique de Newton (1740), Remarques sur les pensées de Pascal (1742), il Dictionnaire philosophique (1764), il Philosophe ignorant (1766), per citare i più importanti.

Non mancano tuttavia nelle sue opere accenti critici contro gli inglesi.[8].

La religione naturale e l'anticlericalismo[modifica]

« L'universo mi imbarazza, e non posso fare a meno di riflettere / che se esiste un tale orologio debba esistere un orologiaio »
(Voltaire, Les cabales, 1772)
Pagina autografa di una lettera di Voltaire sul caso Calas, che gli ispirerà il Trattato sulla tolleranza e in calce è visibile la sua firma tipica «Écrasez l'infame!»

Il problema che Voltaire principalmente si pone è l'esistenza di Dio, conoscenza fondamentale per giungere a una giusta nozione dell'uomo. Il filosofo non la nega, come alcuni altri illuministi che si dichiaravano atei (il suo amico Diderot, D'Holbach e altri) perché non trovavano prova dell'esistenza di un Essere Supremo, ma nemmeno, nel suo razionalismo laico, assume una posizione agnostica. Egli vede la prova dell'esistenza di Dio nell'ordine superiore dell'universo, infatti così come ogni opera dimostra un artefice, Dio esiste come autore del mondo e, se si vuole dare una causa all'esistenza degli esseri, si deve ammettere che sussiste un Essere creatore, un Principio primo, autore di un Disegno intelligente.[9]

« [Un modo] per acquisire la nozione di "essere che dirige l'universo" è considerare il fine al quale ogni essere appare essere diretto. Quando vedo un orologio con una lancetta che segna le ore, concludo che un essere intelligente ha progettato la meccanica di questo meccanismo così che appunto la lancetta segni le ore. Perciò, quando vedo il meccanismo del corpo umano, concludo che un essere intelligente ha progettato questi organi per essere nutriti all'interno del ventre materno per nove mesi; gli occhi per vedere, le mani per afferrare e così via. Ma da simile argomento, non posso concludere nient'altro, a parte per il fatto che sia probabile che un essere intelligente e superiore ha preparato e dato forma alla materia con abilità; non posso concludere da tale argomento e basta che questo essere ha creato la materia dal nulla o che è infinito in qualsiasi senso s'intenda. A ogni modo cerco con intensità dentro alla mente mia la connessione tra le seguenti idee — "è probabile che io sia il prodotto di un essere più potente di me stesso, quindi questo essere è eterno, quindi ha creato tutto quanto, quindi è infinito e così via." — Non riesco a intravedere il filo che porti direttamente a quella conclusione. Posso solo constatare che v'è qualcosa di più potente di me stesso, e nient'altro. »
(Voltaire, Trattato di metafisica, seconda versione, 1736, capitolo II)

Il deismo come credo universale[modifica]

La sua posizione fu pertanto deista, come già accennato:

« Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, ma tutta la natura ci grida che esiste. »
(Voltaire, Livre des Trois Imposteurs, v. 22.)

Dunque Dio esiste e sebbene abbracciando questa tesi si trovino molte difficoltà, le difficoltà che si pongono abbracciando l'opinione contraria sarebbero ancora maggiori, vivendo Voltaire in un'epoca in cui le leggi dell'evoluzione non erano ancora scoperte e l'alternativa al deismo era l'eternità della "materia", che comunque è un principio originale. Il Dio di Voltaire non è il dio rivelato, ma non è neanche un dio di una posizione panteista, come quella di Spinoza. È una sorta di Grande Architetto dell'Universo, un orologiaio autore di una macchina perfetta (tra l'altro, gli orologi erano una passione di Voltaire, che si dedicava alla costruzione di essi a Ferney). Voltaire non nega una Provvidenza, ma non accetta quella di tipo cristiano, ossia non accetta una provvidenza che sia contemporaneamente buona e onnipotente non aderendo alle risposte leibniziane sul problema del male (come ampiamente spiegato nel Candido);[10] secondo le sue convinzioni (come quelle di molti del suo tempo), l'uomo nello stato di natura era felice, avendo istinto e ragione, ma la civiltà ha contribuito all'infelicità: occorre quindi accettare il mondo così com'è, e migliorarlo per quanto è possibile. Aveva contribuito a queste sue convinzioni lo studio di Newton, conosciuto, come detto, nel periodo inglese[11]: la cui scienza, pur rimanendo estranea, in quanto filosofia matematica, alla ricerca delle cause, risulta strettamente connessa alla metafisica teistica, implicando una razionale credenza in un Essere Supremo (Être Supreme, a cui si ispirerà vagamente il Culto della Ragione di Robespierre).[12]

Voltaire inoltre è spinto dalla censura, specialmente in alcune opere che egli voleva fossero a larga diffusione, fuori dall'ambiente accademico ed enciclopedico dei philosophes, a non mettere troppo in dubbio il cristianesimo e il concetto di divinità tradizionale, onde convincere i propri interlocutori: ad esempio nel Trattato sulla tolleranza, in cui spesso fa riferimento ai Vangeli o al cattolicesimo, sapendo di dover convincere - in primo luogo i giuristi cattolici - a riaprire il caso Calas, senza quindi entrare troppo in urto con la Chiesa e la fede diffusa.[13]

Voltaire crede comunque in un Dio che unifica, Dio di tutti gli uomini: universale come la ragione, Dio è di tutti.[14][15][16]

Come altri pensatori-chiave del periodo si considera espressamente un deista/teista[17], esprimendosi così: «Cos'è la fede? È credere in qualcosa di evidente? No. Alla mia mente è perfettamente evidente l'esistenza di un necessario, eterno, supremo, e intelligente Essere. Questa non è materia di fede, ma di ragione».[18][19] Questa concezione assomiglia a quella del Dio impersonale/Logos degli stoici, di Cicerone e dei platonici, e in generale di quasi tutta la filosofia antica.[20]

Utilità filosofica del deismo all'epoca di Voltaire[modifica]

Il deismo di Voltaire comunque si rifiuta di ammettere qualsiasi intervento di Dio nel mondo umano, ed è restio, soprattutto dopo il terremoto di Lisbona, ad ammettere l'esistenza di una vera e propria Divina Provvidenza.[21][22] Il Supremo ha solo avviato la macchina dell'universo, senza intervenire ulteriormente, come gli dei di Epicuro, dunque l'uomo è libero, ovvero ha il potere di agire, anche se la sua libertà è limitata[23]; il filosofo può comunque rivolgersi all'Essere supremo, anche per incitare alla tolleranza gli uomini che leggeranno.[24][25]

Anche il naturalista Buffon, pre-evoluzionista, la condivide, e sarà invece Diderot a staccarsene gradualmente dopo che i semi dell'evoluzionismo cominciano a diffondersi (anche se sarà solo nel XIX secolo con Charles Darwin che nascerà ufficialmente il concetto di selezione casuale delle specie).[26] All'epoca della formazione culturale di Voltaire, la maggioranza dei razionalisti ammettevano la divinità come garante di ordine morale e "motore immobile" dell'universo e della vita, in quanto pareva una spiegazione più semplice del materialismo ateo, propugnato ad esempio da Jean Meslier e da d'Holbach, in senso completamente meccanicista e determinista, e più cautamente da Diderot. Voltaire accetta l'idea teologica di Newton, John Locke e David Hume, per cui, se in certi frangenti è difficile credere, è comunque un'idea accettabile, allo stato delle conoscenze dell'epoca. Solo con la scoperta dell'evoluzione darwiniana e la teoria cosmologica del Big Bang, questa molto successiva a Voltaire, molti scienziati e filosofi razionalisti abbandoneranno il deismo per l'agnosticismo e lo scetticismo.[27].

Voltaire critica razionalmente anche i testi biblici, mettendo in dubbio la storicità e la validità morale di gran parte dei testi. Il suo approccio generale è ispirato a quello di alcuni riformatori come i sociniani, ma l'attitudine profondamente scettica del pensatore francese lo separa però sia da Locke sia dai teologi unitariani come appunto Fausto Socini, oltre che da Rousseau, deista tendente al calvinismo, e sostenitore di una religione civile "imposta" per legge, cioè religione di Stato, che invece Voltaire considera inutile e ingiusta, se ciò genera oppressione e violenza verso altri culti.[28]

La polemica anticlericale e anticattolica[modifica]

(IT)
« Schiacciate l'infame »

(FR)
« Écrasez l'Infâme[29] »

Obiettivo principale di Voltaire e di tutto il suo pensiero, o, se si vuole, la missione della sua vita, è l'annientamento della Chiesa cattolica (che lui chiama l'infame, anche se utilizza questo termine con riferimento a ogni spiritualità forte, che senza mezzi termini ritiene semplicemente fanatismo religioso),[30] egli infatti tenta di demolire il cattolicesimo per proclamare la validità della religione naturale.[31] In una lettera a Federico II del 1767, scrive riferendosi al cattolicesimo: "La nostra [religione] è senza dubbio la più ridicola, la più assurda e la più assetata di sangue mai venuta a infettare il mondo".[32]

La sua fede nei principi della morale naturale mira a unire spiritualmente gli uomini al di là delle differenze di costumi e di usanze. Proclama quindi la tolleranza contro il fanatismo e la superstizione (che stanno «alla religione come l'astrologia all'astronomia»[33]) nel Trattato sulla tolleranza (1763), nonché la laicità tramite molti scritti anticlericali: uno dei suoi obiettivi è la completa separazione tra Chiesa e Stato, ad esempio con l'istituzione del matrimonio civile.[34] Voltaire era solito firmare la fine delle sue lettere con Écrasez l'infame, (schiacciate l'infame), in seguito lo abbreviò con Ecr. L'inf..[35] Per liberare le religioni positive da queste piaghe è necessario trasformare tali culti, compreso il cristianesimo, nella religione naturale, lasciando cadere il loro patrimonio dogmatico e facendo ricorso all'azione illuminatrice della ragione.[36]

Dal cristianesimo primitivo Voltaire accetta alcuni insegnamenti morali,[37] ovvero la semplicità, l'umanità, la carità, e ritiene che voler ridurre questa dottrina alla metafisica significa farne una fonte di errori. Più volte infatti il parigino, elogiando la dottrina cristiana predicata da Cristo e dai suoi discepoli (anche se dubita della veridicità dei racconti evangelici), addebiterà la degenerazione di questa in fanatismo, alla struttura che gli uomini, e non il Redentore, hanno dato alla chiesa.[38] Il Cristianesimo, se vissuto in maniera razionale, senza dogmi, riti, miracoli, clero e fede cieca, nel pensiero di Voltaire coincide con la legge di natura.[16][39]

Jacques Augustin Catherine Pajou, Voltaire che legge, olio su tela, 1811

Contro il cristianesimo moderno e la concezione materialistica[modifica]

Voltaire porta avanti una doppia polemica, contro l'intolleranza e la sclericità del cattolicesimo, e contro l'ateismo e il materialismo[40], sebbene gran parte della sua speculazione parta da elementi materiali.[41] «Voltaire non si sente l'animo di decidersi né per il materialismo né per lo spiritualismo. Egli ripete spesso che "come non sappiamo che cosa sia uno spirito, così ignoriamo cosa sia un corpo"».[42]

Il filosofo dirà che "l'ateismo non si oppone ai delitti ma il fanatismo spinge a commetterli"[40], anche se concluderà poi che essendo l'ateismo quasi sempre fatale alle virtù, in una società è più utile avere una religione, anche se fallace, che non averne nessuna. È principalmente un problema etico, sulla religione come instrumentum regnii, e come coscienza del popolo e del re,[43] oltre che l'utilizzo della nozione di Dio come una sorta di "motore primo" della creazione.[44] Voltaire crede che la colpa non sia però degli atei espliciti e convinti (ed è molto più sfumato nei giudizi verso il generico panteismo o l'irreligiosità), ma delle religioni rivelate, principalmente del cristianesimo, che, rendendo odioso il loro Dio, hanno spinto a negarlo del tutto.[40] La religione razionale può essere utile a mantenere l'ordine nel popolo ignorante, come già ricordava Niccolò Machiavelli, che pure non vi credeva.[45] La superstizione è ritenuta sbagliata e ridicola, a meno che non serva a evitare che il popolo divenga intollerante e ancora più dannoso; Voltaire teme difatti, come un superstizioso intollerante, anche un ateo violento e intollerante, affermando che l'ateo morale (di cui parla invece d'Holbach), è cosa molto rara. Fa anche l'esempio delle religioni e delle credenze pagane, che spesso svolgevano una funzione morale ed erano personificazioni di principi e comportamenti, pur essendo ridicole anch'esse agli occhi di un filosofo. Afferma che "Les lois veillent sur les crimes connus, et la religion sur les crimes secrets" (la legge vigila sui crimini conosciuti, la religione su quelli segreti).[33]

Una cena di filosofi o La santa cena del patriarca di Jean Huber: al tavolo di Voltaire a Ferney si vedono alcuni suoi amici e colleghi, tra cui Denis Diderot (l'uomo seduto di profilo a destra)

Non solo il cristianesimo, soprattutto il cattolicesimo, ma ogni religione rivelata, è solo una superstizione inventata dall'uomo, ed è ormai troppo corrotta perché si possa recuperare in pieno.[46][47] Secondo il giornalista cattolico Vittorio Messori l'antipatia di Voltaire per la chiesa cattolica era manifesta e costante: nel 1773 egli si spinse ad affermare la vicina fine del Cristianesimo:[48]

« Nella cultura nuova, non ci sarà futuro per la superstizione cristiana. Io vi dico che, tra vent'anni, il Galileo sarà spacciato »
(citazione attribuita a Voltaire)

Quasi ironicamente, la casa parigina di Voltaire divenne un deposito della Società Biblica protestante di Francia.[49] Voltaire attacca anche, nelle sue opere, l'Islam e altri culti non cristiani, ad esempio in Maometto ossia il fanatismo e in Zadig. Per spiegare il male, Voltaire afferma che accade per colpa dell'uomo, che combatte guerre e cede a fanatismo e violenza o è insito nella natura delle cose, ma il progresso e il lavoro umano lo attenuerà per quanto possibile.[50][51] Del resto, scrive, "sarebbe strano che tutta la natura, tutti gli astri obbedissero a delle leggi eterne, e che vi fosse un piccolo animale alto cinque piedi che, a dispetto di queste leggi, potesse agire sempre come gli piace solo secondo il suo capriccio". Sull'immortalità dell'anima e sull'esistenza di una vita dopo la morte, invece, Voltaire è più ambiguo, e mantiene una posizione di agnosticismo, evitando di pronunciarsi esplicitamente su questo argomento.[52]

Degna di menzione è la polemica che Voltaire porterà avanti contro Blaise Pascal, che diventerà soprattutto polemica contro l'apologetica e il pessimismo cristiano in genere. Voltaire dice di prendere le difese dell'umanità contro quel "misantropo sublime", che insegnava agli uomini a odiare la loro stessa natura. Più che con l'autore delle Provinciales, egli dice di scagliarsi contro quello dei Pensées, in difesa di una diversa concezione dell'uomo, del quale sottolinea piuttosto la complessità dell'animo, la molteplicità del comportamento, affinché l'uomo si riconosca e si accetti per quello che è, e non tenti un assurdo superamento del suo stato.[53]

In conclusione si può asserire che entrambi i filosofi riconoscono che l'essere umano per la sua condizione è legato al mondo, ma Pascal pretende che egli se ne liberi e se ne distolga, Voltaire vuole che la riconosca e l'accetti: era il mondo nuovo che si scagliava contro il vecchio.[53]

Etica e animali[modifica]

Stampa del 1795 circa che raffigura Voltaire al suo tavolo di lavoro al Sanssouci di Federico II

Tra gli argomenti polemici di Voltaire vi è un deciso attacco all'idea teologica della differenza essenziale e sovrannaturale fra l'essere umano e gli animali e della superiorità di diritto divino da parte dell'uomo nei confronti dell'intera natura.[54] Partendo da questa critica, lo scrittore condanna la vivisezione e i tormenti inflitti agli animali d'allevamento, mostrando simpatia per il vegetarismo dei pitagorici, di Porfirio e di Isaac Newton.[54] La questione della crudeltà verso gli animali e del vegetarismo è affrontata da Voltaire in parecchie opere, dagli Elementi della filosofia di Newton al Saggio sui costumi (nel capitolo sull'India), e anche in Zadig, nel Dizionario filosofico[55] in La principessa di Babilonia e specialmente nel Dialogo del cappone e della pollastrella.[54]

Voltaire – che può essere considerato, sotto questo aspetto, un precursore di Jeremy Bentham,[56] – pone aspramente in discussione le posizioni cartesiane che riducevano l'animale ad una macchina senza coscienza. Nel Dizionario filosofico[57] egli sottolinea quale vergogna sia stata «aver detto che le bestie sono macchine prive di coscienza e sentimento»[58] e, rivolgendosi al vivisettore che seziona un animale nella più assoluta indifferenza, gli chiede: «tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te. Rispondimi, meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento affinché egli non senta?».[58]

Voltaire e la storiografia umana[modifica]

Jean Huber, La sveglia di Voltaire (1768–1772), in cui Voltaire è raffigurato in un momento della sua vita quotidiana a Ferney mentre si veste e comincia di buon mattino a dettare la corrispondenza al suo segretario, mentre un'altra versione del ritratto raffigura la scena più ampia con la presenza di uno dei cani di Voltaire
« Cosa ha prodotto dunque il sangue di tanti milioni di uomini, il saccheggio di tante città? Nulla di grande, nulla di considerevole (...) quasi tutta la Storia non è che una lunga sequenza di inutili atrocità »
(Voltaire, Saggio sui costumi)
Voltaire anziano

Voltaire fu uno dei più celebri storici del suo secolo.[59] Le concezioni filosofiche di Voltaire sono inscindibili dal suo modo di fare storia. Infatti egli vuole trattare questa disciplina da filosofo, cioè cogliendo al di là della congerie dei fatti un ordine progressivo che ne riveli il significato permanente.

Dalle sue grandi opere storiche (Historie de Charles XII del 1731, Les siecle de Louis XIV del 1751, Essai sur les moeurs et l'esprit des nations del 1754-1758), nasce una storia "dello spirito umano", ovvero del Progresso inteso come il dominio che la ragione esercita sulle passioni, nelle quali si radicano i pregiudizi e gli errori, infatti l’Essai presenta sempre come incombente il pericolo del fanatismo. La filosofia della storia di Voltaire inaugura, dopo il precursore Giambattista Vico, il cosiddetto "storicismo", per cui la realtà è storia, calata nel suo contesto, e immanenza.[60]

La storia non è più orientata verso la conoscenza di Dio, problema filosofico, non è questo lo scopo dell'uomo, il quale deve invece dedicarsi a capire e a conoscere sé stesso fino a che la scoperta della storia si identifichi con la scoperta dell'uomo. La storia è diventata storia dell'Illuminismo, del rischiaramento progressivo che l'uomo fa di sé stesso, della progressiva scoperta del suo principio razionale. A volte, però, sacrifica la perfetta veridicità, come quando applica la filosofia alla storia, per semplificare alcuni concetti e renderli chiari.[61][62]

L'India come culla dell'umanità[modifica]

Il modello antropologico di fondo dell'orientalismo settecentesco, ripreso poi da Diderot, può inoltre essere ben percepito nell′Essai sur les mœurs di Voltaire. In questa "storia universale" - così infatti si intitolava una versione precedente del Essai che l'autore aveva scritto - Voltaire scosse l'establishment clericale e accademico ponendo la Cina, e soprattutto l'India, a capo della sua cronologia, con gli ebrei (tradizionalmente posti all'origine della cronologia sacra della storia) ben dietro.[63] Voltaire infatti presentò l'India e la Cina come le prime civiltà avanzate del mondo antico e, aggiungendo al danno la beffa, suggerì che gli ebrei non solo succedettero a delle civiltà precedenti, ma anche che le avevano copiati: «Gli ebrei hanno copiato tutto da altre nazioni».[64] Voltaire diffuse queste affermazioni eterodosse anche nei suoi Contes.[65] e nelle critiche agli ebrei contenute nel Dizionario filosofico.

File:Jean Sylvain Bailly, Maire de Paris.png|thumb|upright=0.8|Jean Sylvain Bailly ritratto da Jean-Laurent Mosnier (1789)]]

Secondo il filosofo di Ferney, i progenitori di tutte le conoscenze erano soprattutto gli Indiani: «Sono convinto che tutto provenga dalle rive del Gange, l'astronomia, l'astrologia, la metempsicosi etc...».[66] Questa ipotesi era particolarmente seduttiva, perché poteva essere estesa agli aspetti più sofisticati della cultura umana, vale a dire, ad esempio, le scienze. In qualità di storico, approfondì anche le convinzioni religiose, come il buddhismo, degli asiatici.

Voltaire e l'astronomo francese Jean Sylvain Bailly ebbero un vivace scambio epistolare che fu pubblicato dallo stesso Bailly nelle Lettres sur l'origine des sciences. Bailly, pur apprezzando l'ipotesi di Voltaire, cerca comunque di confutarla per propugnare la sua tesi di un antichissimo popolo nordico progenitore dell'umanità, secondo la propria concezione della storia.

Secondo lo storico David Harvey, «sebbene colpito dalla storia dell'astronomia di Bailly, Voltaire era ben poco convinto dalla sua pretesa delle origini nordiche della scienza».[67] Dichiarando di essere «convinto che ogni cosa sia giunta a noi dalle sponde del Gange» Voltaire rispose che i Brahmani «dimorando in un clima incantevole e al quale la natura aveva donato tutti i suoi doni, dovevano, mi sembra, avere più tempo libero per contemplare le stelle rispetto ai Tartari e agli Uzbeki» facendo riferimento ai territori, quelli della Scizia e del Caucaso, che secondo Bailly avevano ospitato quella sconosciuta civiltà avanzata di cui parlava.[68] Al contrario, sosteneva che «la Scizia non ha mai prodotto nulla, se non le tigri, capaci solo di divorare i nostri agnelli» e chiese ironicamente a Bailly: «È credibile che queste tigri siano partite dalle loro terre selvagge con quadranti e astrolabi?».[69] Lo storico Rolando Minuti ha notato che le «metafore zoomorfe» erano centrali nella rappresentazione di Voltaire dei popoli "barbari" del Asia centrale, e gli servivano, all'interno della sua macro-narrativa sull'origine della civiltà, per giustapporre la natura distruttiva e animalesca dei popoli nomadi con la coltivazione delle arti e delle scienze dalle civiltà urbane originarie del Gange, dipingendo le prime come «le antagoniste storiche della civilizzazione».[70] Questa concezione dell'India come origine della civiltà avrà molta fortuna nel XIX secolo, essendo ripresa anche da Arthur Schopenhauer.

Il reale e l'ironia voltairiana[modifica]

Shaftesbury disse che non c'è miglior rimedio del buon umore contro la superstizione e l'intolleranza e nessuno mise in pratica meglio di Voltaire questo principio; infatti "il suo modo di procedere si avvicina a quello di un caricaturista, che è sempre vicino al modello da cui parte, ma attraverso un gioco di prospettive e di proporzioni abilmente falsate, ci dà la sua interpretazione". Per Voltaire, nonostante ci sia sempre del buono che ha impedito la totale autodistruzione del genere umano, lungo la storia e nel presente si vedono enormi ingiustizie e tragedie, e l'unico modo per affrontare il male con lucidità, è quello di riderne, anche cinicamente, tramite un umorismo che ridicolizzi l'ottimismo consolatorio e teorico, scaricando attraverso l'ironia e la satira, fiorente nel Settecento, la tensione emotiva, anziché dirottarla sul sentimento, come faranno i romantici.[71]

L'umorismo, l'ironia, la satira, il sarcasmo, l'irrisione aperta o velata, sono da lui adoperati di volta in volta contro la metafisica, la scolastica o le credenze religiose tradizionali. Ma talvolta, questo semplicizzare ironicamente certe situazioni, lo porta a trascurare o a non cogliere aspetti molto importanti della storia.[72][73]

« Forse Voltaire pensò che l'umanità non merita un'analisi più complessa. È probabile che non si sbagliasse. »
(Jorge Luis Borges)

Pensiero politico[modifica]

Costituzionalismo e dispotismo illuminato[modifica]

Voltaire ritratto da Nicolas de Largillière, 1724–1725, Institut et Musée Voltaire

Voltaire non credeva che la Francia (e in generale ogni nazione) fosse pronta a una vera democrazia: perciò, non avendo fiducia nel popolo (a differenza di Rousseau, che credeva nella diretta sovranità popolare)[74], non sostenne mai idee repubblicane né democratiche; benché, dopo la morte, sia divenuto uno dei "padri nobili" della Rivoluzione, celebrato dai rivoluzionari, è da ricordare che alcuni collaboratori e amici di Voltaire finirono vittime dei giacobini durante il regime del Terrore, tra essi Condorcet e Bailly). Per Voltaire, chi non è stato "illuminato" dalla ragione, istruendosi ed elevandosi culturalmente, non può partecipare al governo, pena il rischio di finire nella demagogia. Ammette comunque la democrazia rappresentativa e la divisione dei poteri proposta da Montesquieu, come realizzate in Inghilterra, ma non quella diretta, praticata a Ginevra.[75]

La repubblica ginevrina, che gli apparve giusta e tollerante, si rivelò un luogo di fanatismo.[7] Lontano da idee populiste e anche radicali, se non sul ruolo della religione in politica (fu un deciso anticlericale), la sua posizione politica fu quella di un liberale moderato, avverso alla nobiltà - che gli fa dubitare di un governo oligarchico - ma sostenitore della monarchia assoluta nella forma illuminata (anche se ammirava molto come "governo ideale" la monarchia costituzionale inglese) come forma di governo: il sovrano avrebbe dovuto governare saggiamente per la felicità del popolo, proprio perché "illuminato" dai filosofi[7], e garantire la libertà di pensiero.[76] Lo stesso Voltaire trovò realizzazione delle sue idee politiche nella Prussia di Federico II, apparentemente un re-filosofo, che con le sue riforme acquistò un ruolo di primo piano sullo scacchiere europeo. Il sogno del filosofo si rivelò poi inattuato, rivelando in lui, soprattutto negli anni più tardi un pessimismo di fondo attenuato dalle utopie vagheggiate nel Candido, l'impossibile mondo ideale di Eldorado, dove non esistono fanatismi, prigioni e povertà, e la piccola fattoria autosufficiente dove il protagonista si ritira per lavorare, in una contrapposizione borghese all'ozio aristocratico.[77][78]

Federico II di Prussia

Nelle opere successive esprime la volontà di lavorare per la libertà politica e civile, concentrandosi molto sulla lotta all'intolleranza[79], soprattutto religiosa, non appoggiandosi più ai sovrani che lo avevano deluso.[75] Non è contrario in linea di principio ad una repubblica[80][81], ma lo è nella pratica, in quanto egli, pensatore pragmatico, non vede nella sua epoca la necessità del conflitto monarchia-repubblica, che si svilupperà 11 anni dopo la sua morte con l'inizio della Rivoluzione nel 1789, ma quello monarchia-corti di giustizia (i cosiddetti "parlamenti", da non confondere con l'accezione inglese del termine, oggi usata per ogni organo legislativo), ed egli, contrario agli arbitri di tali magistrati di estrazione nobiliare, si schiera col sovrano che può essere guidato dai filosofi, mentre la riforma delle corti richiede una complicata e lunga ristrutturazione legislativa.[78][82][83] Il filosofo deve inoltre orientare la massa e spingerla per il giusto sentiero, guidarla, poiché «le leggi sono fatte dall'opinione pubblica».[84]

Sulle riforme sociali: uguaglianza, giustizia e tolleranza[modifica]

« È prudenza assai maggiore assolvere due persone benché siano effettivamente colpevoli, che applicare una sentenza di condanna a una sola che sia giusta o innocente. »
(Voltaire, parafrasando Mosè Maimonide[85], in Zadig o il destino)

La tolleranza, che va esercitata dal governante praticamente sempre (egli cita come esempio molti imperatori romani, in particolare Tito, Traiano, Antonino Pio e Marco Aurelio[86]), è il caposaldo del pensiero politico di Voltaire. Spesso gli è attribuita, con varianti, la frase "Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo". Tale citazione trova in realtà riscontro soltanto in un testo della scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall.[87] La citazione non si trova altresì in qualsivoglia opera di Voltaire.[88] La frase avrebbe origine non dalla lettera del 6 febbraio 1770 all'abate Le Riche, come spesso si dice ma da un brano delle Questioni sull'Enciclopedia[89]:

« Mi piaceva l'autore de L'Esprit [Helvétius]. Quest'uomo era meglio di tutti i suoi nemici messi assieme; ma "non ho mai approvato né gli errori del suo libro, né le verità banali che afferma con enfasi. Però ho preso fortemente le sue difese, quando uomini assurdi lo hanno condannato". »
(Questions sur l'Encyclopédie, articolo "Homme")

Ci sono però molte altre frasi o aforismi di Voltaire che esprimono un concetto affine a questo, con diverse parole: in una lettera sul caso Calas, allegata da Voltaire al Trattato sulla tolleranza: «La natura dice a tutti gli esseri umani: (...) Qualora foste tutti dello stesso parere, cosa che sicuramente non succederà mai, qualora non ci fosse che un solo uomo di parere contrario, gli dovrete perdonare: perché sono io che lo faccio pensare come lui pensa»[90], frase che anticipa il pensiero del liberalismo del secolo successivo[91]; «Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all'errore. Non resta dunque che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani»[92][93]; «Di tutte le superstizioni, la più pericolosa è quella di odiare il prossimo per le sue opinioni»[33]; «È cosa crudelissima perseguitare in questa vita quelli che non la pensano al nostro modo»[94]; «Ma come! Sarà permesso a ciascun cittadino di non credere che alla sua ragione e di pensare ciò che questa ragione, illuminata o ingannata, gli detterà? È necessario, purché non turbi l'ordine»[95]; e molte altre.

Contro la pena di morte e la tortura[modifica]

Voltaire accolse favorevolmente le tesi del giovane illuminista italiano Cesare Beccaria sull'abolizione della tortura[36] e della pena di morte, come si evince dal commento molto positivo che fece all'opera Dei delitti e delle pene, invitando i governanti a ridurre drasticamente l'uso della prima, per poi eliminarla completamente.[96] Voltaire e Beccaria ebbero anche uno scambio epistolare. Sulla pena capitale Voltaire si oppone nettamente al suo uso e agli eccessi di violenza che la caratterizzavano; benché in certi casi possa apparire giusta, essa, alla ragione illuministica, si rivela solo una barbarie, in quanto i peggiori e incalliti criminali, anche se giustiziati, non saranno utili a nessuno, mentre potrebbero lavorare per il bene pubblico e riabilitarsi parzialmente, motivazione principale utilitaristica di Beccaria che Voltaire approva in pieno; egli considera l'ergastolo una punizione sufficiente per i delitti peggiori e violenti[97]:

« Il grande obiettivo è di servire il pubblico, e senza dubbio un uomo dedicato per tutti i giorni della sua vita a salvare una contea dalle inondazioni o a scavare dei canali per facilitare il commercio rende un servizio maggiore allo stato, che non uno scheletro che dondola da un palo, appeso con una catena di ferro.[98] »

Voltaire va anche oltre Beccaria, e considera, da un punto di vista umanitario, filantropico e giusnaturalista e in polemica con Rousseau, un arbitrio dello stato il togliere la vita, che è diritti umani|diritto naturale di ogni essere umano (mentre la vendetta a sangue freddo squalifica la ragione umana e lo Stato stesso, in quanto non è una legittima difesa della società, ma un accanimento), e non è nella disponibilità della legge, oltre al fatto che è possibile colpire anche innocenti, spesso senza proporzionalità:

« Quando la giustizia penale condanna un innocente è un assassinio giuridico e il più orribile di tutti. Quando si punisce con la morte un crimine che nelle altre nazioni prevede castighi più leggeri la giustizia penale è crudele e non politica. (...) è altrettanto assurdo e crudele punire le violazioni degli usi acquisiti in un paese, i delitti commessi contro l'opinione comune e coloro che non hanno fatto alcun male fisico con lo stesso supplizio col quale si puniscono i parricidi e gli avvelenatori.[98] »

Voltaire usa anche la sua arma più potente, l'ironia, unita al sarcasmo e alla derisione della superstizione popolare:

« Un impiccato non serve a nulla. Probabilmente qualche boia, ciarlatano quanto crudele, avrà fatto credere agli imbecilli del suo quartiere che il grasso dell'impiccato guarirà dell'epilessia.[98] »

Per Voltaire il crimine più orrendo che un uomo possa commettere è la pena di morte applicata per motivi religiosi o ideologici, anche mascherati da crimini comuni, come nel caso Calas, ma dettati dal puro fanatismo religioso, per cui il principio del governo deve essere la tolleranza.[99][93]

Contro il nazionalismo e la guerra[modifica]

Se l'uomo privato farà fortuna proprio con le forniture militari, in un secolo denso di guerre, nello scrittore netta è la condanna che emerge anche nei confronti del militarismo, del nazionalismo (in nome del cosmopolitismo) e della guerra fine a sé stessa[100], uno dei motivi di rottura con Federico II, esplicitato anche nei racconti filosofici.[101] Egli attacca frequentemente l'uso politico della religione per giustificare le guerre, e auspica la distruzione del fanatismo religioso:

« Ci sono meno cannibali di una volta nella cristianità; questo è sempre un motivo di consolazione nell'orribile flagello della guerra, che non lascia mai respirare l'Europa vent'anni in pace. Se la guerra stessa è diventata meno crudele, il governo di ogni Stato sembra divenire ugualmente meno inumano e più saggio. I buoni scritti, pubblicati da qualche anno, sono penetrati in tutta l'Europa, malgrado dei satelliti del fanatismo che controllavano tutti i passaggi. La ragione e la pietà sono penetrate fino alle porte dell'Inquisizione. Gli atti da antropofagi che si chiamavano atti di fede, non celebrano più così spesso il Dio di misericordia alla luce dei roghi e tra i fiotti di sangue sparsi dal boia. In Spagna si incomincia a pentirsi di aver scacciato i Mori che coltivavano la terra; e se oggi si trattasse di revocare l'editto di Nantes, nessuno oserebbe proporre un'ingiustizia così funesta. »
(Voltaire, Della pace perpetua[102])

L'eguaglianza[modifica]

Per Voltaire l'eguaglianza formale è una condizione di natura, l'uomo selvaggio è libero, anche se non civilizzato. L'uomo civile è schiavo a causa delle guerre e dell'ingiustizia; l'eguaglianza sostanziale non c'è perché ognuno svolga la sua funzione, con l'esempio che egli fa, nel Dizionario filosofico, del cuoco e del cardinale,[103] in cui ognuno deve svolgere la propria attività, come è utile al momento presente, poiché così sussisterà il mondo, anche se umanamente entrambi appartengono alla stessa condizione esistenziale.

Economicamente aderisce in parte al laissez faire liberale che muove i primi passi con l'Illuminismo, perlomeno nel richiedere la libertà del commercio dal controllo statale; tuttavia, egli non è un liberista come Adam Smith.[7] Voltaire crede inoltre che il lusso, quando non è un mero spreco, faccia bene all'economia e alla società, rendendo tutti più prosperi e aumentando la sensazione di benessere generale.[104]

Politicamente, invece, il suo pensiero non aderisce al liberalismo democratico poiché ancora legato ad una concezione oligarchica e gerarchica della società, come si evince ad esempio da questo passaggio: «Lo spirito di una nazione risiede sempre nel piccolo numero che fa lavorare il gran numero, ne è nutrito e lo governa.»[105].

Note[modifica]

  1. Voltaire, su treccani.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  2. Voltaire. Lo scandalo dell'intelligenza, introduzione, su ibs.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  3. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Superstizione, Tolleranza.
  4. Voltaire, su homolaicus.com. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  5. Ricardo J. Quinones, Erasmo e Voltaire. Perché sono ancora attuali, Armando editore, 2012, pag. 38, nota 5; disponibile su Google libri
  6. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Prete; voce Religione.
  7. 7,0 7,1 7,2 7,3 7,4 7,5 7,6 Sambugar-Salà.
  8. ad esempio, Capitolo XXIII e succ. di Candido
  9. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Ateismo; voce Dio.
  10. Articolo di paragone tra il terremoto di Lisbona del 1755 a quello di Haiti del 2010, su lastampa.it. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).
  11. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Fede.
  12. Kennedy, Emmet (1989). A Cultural History of the French Revolution. Yale University Press. ISBN 0-300-04426-7, pag. 343-345
  13. Voltaire, Trattato sulla tolleranza, Capitolo XI, "Abuso dell'intolleranza".
  14. vedi tutte le teorie esposte in: Voltaire, Trattato sulla tolleranza
  15. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Dio.
  16. 16,0 16,1 Voltaire, Trattato sulla tolleranza, Capitolo XXIII, "Preghiera a Dio".
  17. il termine "teista" all'epoca era sinonimo di deista, non di "credente in un Dio rivelato", com'è usato oggi
  18. Voltaire. W. Dugdale, A Philosophical Dictionary ver 2, 1843, Page 473 sec 1. Retrieved 31 October 2007.
  19. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Teismo.
  20. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Destino; voce Dogmi; voce Idolo.
  21. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Destino.
  22. Candido, capitolo V e VI
  23. Introduzione al Candido, Mondadori
  24. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Grazia.
  25. Voltaire, Trattato sulla tolleranza, Capitolo XIII, "Preghiera a Dio".
  26. La religione di Voltaire tra confessionalismo, deismo e ateismo, su linkiesta.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  27. Richard Dawkins, The Blind Watchmaker ("L'orologiaio cieco"), New York, Norton, 1986, pp. 6. ISBN 0-393-31570-3
  28. (EN) R. E. Florida, Voltaire and the Socinians, 1974: "Voltaire from his very first writings on the subject of religion showed a libertine scorn of scripture, which he never lost. This set him apart from Socinianism even though he admired the simplicity of Socinian theology as well as their...".
  29. Voltaire citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli editore, 1980, p. 456
  30. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Inquisizione; voce Superstizione; voce Tolleranza.
  31. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Pietro; voce Teismo.
  32. (FR) Oeuvres complètes de Voltaire, Volume 7, p. 184
  33. 33,0 33,1 33,2 Voltaire, Trattato sulla tolleranza, cap XX, Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione.
  34. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Leggi.
  35. Voltaire, su holysmoke.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 21 gennaio 2015).
  36. 36,0 36,1 Voltaire, Dizionario filosofico, voce Tortura.
  37. La filosofia e la preghiera - L'Illuminismo francese, su filosofico.net. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  38. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Prete.
  39. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Cristianesimo; voce Dogmi; voce Miracoli.
  40. 40,0 40,1 40,2 Voltaire, Dizionario filosofico, voce Ateismo.
  41. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Materia.
  42. Gaetano Capone Braga, La filosofia francese e italiana del settecento, Edizioni delle "Pagine critiche", 1920, p.63, che cita a sua volta lo stesso Voltaire, Dizionario filosofico, voce Corpo
  43. Il problema della religione in Voltaire, su sintesidialettica.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  44. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Religione.
  45. Niccolò Machiavelli, Discorsi, "Di quanta importanza sia tenere conto della religione, ecc."
  46. Era ateo Voltaire?, su lafrusta1.homestead.com. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 13 novembre 2010).
  47. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Cristianesimo; voce Pietro; voce Prete; voce Superstizione.
  48. Vittorio Messori, Pensare la storia, SugarcoEdizioni (2006)
  49. Voltaire et la bible, su eglise.mu. URL consultato il 10 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 10 gennaio 2014).
  50. Poema sulla legge naturale: «Ah, non avveleniamo la dolcezza che ci resta / Mi sembra di vedere dei forzati in una cella funesta / Che pur potendo soccorrersi, l'un contro l'altro accaniti / Si combattono con i ferri da cui sono incatenati.», versi che Andrea Calzolari paragona al messaggio de La ginestra di Leopardi; e il capitolo finale del Candido
  51. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Guerra; voce Necessario; voce Malvagio; voce Destino.
  52. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Anima; voce Metamorfosi, Metempsicosi.
  53. 53,0 53,1 Voltaire e Pascal, su filosofico.net. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  54. 54,0 54,1 54,2 Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci editore, Roma 2008, p 80.
  55. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Bestie; voce Sensazione.
  56. Barbara De Mori, Che cos'è la bioetica animale, Carocci 2007, p. 25.
  57. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Bestie.
  58. 58,0 58,1 Citato in Barbara De Mori, Che cos'è la bioetica animale, Carocci 2007, pp. 25-26.
  59. Calzolari, Introduzione
  60. Valerio Martone, Storicismo
  61. SambugarSalà.
  62. E. Auerbach, Mimesis, Torino, 1956
  63. Pomeau, Introduzione - Essai sur les moeurs et l'esprit des nations, 2 vols. (Parigi: Bordas, 1990).
  64. Examen important de milord Bolingbroke, in Œuvres complètes de Voltaire/Complete works of Voltaire, Ulla Kölving, ed., 85 vols. (Ginevra: Voltaire Foundation, 1968)
  65. Voltaire, Contes
  66. Bailly, Lettres sur l'origine des sciences et sur celle des peuples d'Asie.
  67. David Allen Harvey, The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth, p. 6.
  68. Jean Sylvain Bailly, Lettres sur l’origine des sciences et sur celle des peuples de l’Asie (Paris, 1777), 4.
  69. Jean Sylvain Bailly, Lettres sur l'origine des sciences, 6.
  70. Rolando Minuti, Oriente barbarico e storiografia settescentesca: Rappresentazione della storia dei Tartari nella cultura francese del XVIII secolo (Venezia, 1994), 102, 41.
  71. Andrea Calzolari, Introduzione a Candido, Oscar Classici Mondadori
  72. Davidson 2010, Introd. XVIII-XX.
  73. SambugarSalà citano E. Auerbach, Mimemis, 1956
  74. Voltaire e Rousseau, le ragioni di un conflitto Archiviato il 4 giugno 2006 in Internet Archive.
  75. 75,0 75,1 Diego Fusaro (a cura di), Voltaire su Filosofico.net, su filosofico.net. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  76. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Libertà di pensiero.
  77. Candido, capitolo XXX
  78. 78,0 78,1 Voltaire, Dizionario filosofico, voce Tirannia.
  79. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Persecuzione; voce Tolleranza.
  80. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Stati, Governi, qual è il migliore?; voce Leggi, II; voce Tirannia.
  81. Voltaire, Ideés Republicaines, (1762)
  82. Voltaire ne parla in Storia del parlamento di Parigi
  83. Roma triumphans? L'attualità dell'antico nella Francia del '700, pag. 98, su books.google.it. URL consultato l'8 gennaio 2014.
  84. Voltaire, tolleranza e libertà
  85. «È meglio assolvere mille persone colpevoli piuttosto che mettere a morte un innocente».
  86. Voltaire, Trattato sulla tolleranza, cap VIII, Se i Romani siano stati tolleranti; e anche nel Dizionario filosofico
  87. Nota sotto lo pseudonimo di Stephen G. Tallentyre; la citazione è in The Friends of Voltaire, biografia del filosofo del 1906.
  88. Le dieci regine delle citazioni bufala, Corriere.it, 19 marzo 2009
  89. Voltaire - Histoire du mond
  90. Voltaire, Trattato sulla tolleranza, cap XXV, Seguito e conclusione.
  91. John Stuart Mill, La libertà, Bur 1999, p. 85: «Quand'anche l'intera umanità, a eccezione di una sola persona, avesse una certa opinione, e quell'unica persona ne avesse una opposta, non per questo l'umanità potrebbe metterla a tacere: non avrebbe maggiori giustificazioni di quante ne avrebbe quell'unica persona per mettere a tacere l'umanità, avendone il potere».
  92. Voltaire, François-Marie Arouet
  93. 93,0 93,1 Voltaire, Dizionario filosofico, voce Tolleranza.
  94. Voltaire, Trattato sulla tolleranza, cap XXII, Della tolleranza universale.
  95. Voltaire, Trattato sulla tolleranza, cap XI, Abuso dell'intolleranza.
  96. Voltaire, Commento al libro "Dei delitti e delle pene", in "Grande antologia filosofica", vol, XIV, pp.570-1
  97. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Leggi, II, Leggi civili ed ecclesiastiche.
  98. 98,0 98,1 98,2 Illuminismo e pena di morte (PDF), su provincia.pistoia.it. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).
  99. Voltaire, Trattato sulla tolleranza.
  100. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Guerra.
  101. Candido, capitolo II
  102. in Scritti politici, UTET, Torino, edizione 1976, pagg. 810, 834-837
  103. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Eguaglianza.
  104. Voltaire, Dizionario filosofico, voce Lusso.
  105. Dal Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni. Cf. testo originale, capitolo CLV.Essai sur les mœurs/Chapitre 155 - Wikisource